Hanta,  il protagonista di un romanzo di Hrabal, lavora da trent’anni al macero, pressando carta straccia e libri vecchi.
Con metodo molto particolare, di nascosto ma più spesso che può, Hanta mette in salvo piccole frazioni di quei libri destinati alla distruzione, di Erasmo e di Lao-Tzu, del Talmud e di Nietzsche, costruendosi un sistema organizzato di frammenti, che trasforma nella sua personale e privata enciclopedia. Il frammento per Hanta non è una parte manchevole del tutto, ma l’elemento più piccolo su cui poggia  il peso della sua intera esistenza e la salvezza –insieme alla birra- dalla sua solitudine. La dignità della parte rispetto al tutto non si è mai resa così necessaria come in quest’epoca di deserti affollati di cose, in questa solitudine troppo rumorosa in cui ognuno di noi, per conto proprio, è consapevole di condividere con Hanta qualche punto sull’orizzonte della vita. Qui, negli spazi senza luogo delle nostre città, orfani di una grande e confortante narrazione che le giustifichi di fronte ai nostri occhi, il senso di tutto si dissolve nell’aria come polvere nella burrasca, come cellulosa nel tinello dei solventi, lasciandoci in balìa di un paesaggio inquieto e incompleto, costellato di frammenti cifrati.  Alla maniera di Hanta, il nostro sguardo si posa su questo paesaggio collezionando un inesauribile sistema di infinitesimali parti, piccoli residui di mondo dai quali possiamo ricavarne il senso. In tutto ciò l’occhio e la visione giocano un ruolo decisivo: perché se il respiro del frammento si consuma in un istante (Augenblick), allora il suo aspetto si dà solo in un colpo d’occhio (Augen-blick).

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