Ritratto di signora è una collezione di istanti fragili, volti di donne appena tremanti le cui storie sono vagamente udite nel minuscolo silenzio che c’è tra un click e l’altro.
Ritrarre una signora, dunque. 
Non una donna: una signora. 
Quel qualcosa in più, quel qualcosa in meno, quel qualcosa oltre.
Esattamente quel qualcosa. Che cosa? Un non-so-che.
Ritratto di signora è l’ardore di una manciata di momenti segreti impigliati tra i bordi di un’immagine.
È l’affannoso desiderio di catturare un non-so-che e di 
portarlo non-so-dove.
Ritratto di signora è una galleria intima, popolata di presenze femminili che si danno obliquamente, per sussurri e sospiri. Pronte a sottrarsi, a ritrarsi, trascinandosi addosso i propri segreti, le sillabe mute dei loro nomi non svelati. I loro volti catturati in fotografia, quasi immobili benché tremanti, dicono e tacciono una storia più dolente, più indicibile. Da lì, appena oltre il filtro sospeso dell’immagine, queste signore ci guardano mute e quasi beffarde, lacerate e perplesse, seducenti, lievi. Dietro l’obbiettivo, ça va sans dire, lo sguardo di un uomo. 
Perché Ritratto di signora è il crocevia di due differenze che si incontrano, l’esercizio di questo incanto strano: piccolo labirinto radioso in cui perdersi un po’. 
È una storia che si fa da sola, e poi passa – così, senza quasi fare male. 
Fotogramma dopo fotogramma.

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