Chiunque sia stato a Big Apple, chiunque abbia davvero osservato, annusato, attraversato NYC, sa bene che questo corpo acefalo e brulicante non si riduce a qualche immagine fissata sul nitrato d’argento, a un’impressione evaporata in una bolla di sali alogenuri. Per chi si è perso nella metropolitana o ha passeggiato su giardini sospesi, per chi ha incocciato la spalla di qualcuno salendo sull’autobus o ha acquistato un hot dog all’ingresso della metropolitana, per tutti questi milioni di occhi, sotto il velo dell’icona c’è lo spirito di una città.
La sensazione del new yorker è quella di una totale, incolmabile sovrabbondanza, di un senso di impotenza e di surreale stordimento di fronte alla ricchezza quasi soffocante della realtà, dei volti, delle tracce e sottotracce, dei sentieri di senso e di sentimento che abitano questa città.
L’obiettivo che mette a fuoco lo scenario newyorkese ha un compito difficile e complesso: da una parte c’è la realtà sempre eccedente rispetto all’immagine; dall’altra, c’è un repertorio di immagini consolidate che abita l’inconscio del fotografo, e di cui liberarsi per far viaggiare libera la macchina.
New Yorker è il desiderio di lanciare uno sguardo disincantato sulla New York di tutti i giorni, al netto della sua mitologia in immagini. L’obiettivo, posto a 5 piedi e mezzo da terra non inquadra New York ma i new yorkers. Non sublima il mito ma registra il flusso di una città. Né troppo in alto né troppo in basso, ma giusto dritto negli occhi. New Yorker è questo: ciò che possiamo vedere, osservare, percorrere, sperimentare nel sublime newyorkese quotidiano, senza dovervi riconoscere qualcosa di già noto.

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