Robot.
Abitano il paesaggio, presenze silenti della campagna desolata, segnali svettanti di cime nude, propaggini elettrificate di sinapsi meccaniche. Così evidenti da sparire alla vista, così imponenti da sovrastare lo sguardo.
Robot.
Meccanismi. Dispositivi. Circuiti. Ferro, acciaio, rame, ruggine. Onde elettromagnetiche che vibrano sulla terra. Ombre di metallo, giganti silenti, masse regolari, più spesso simmetriche, stagliate sullo sfondo di un territorio non più intatto.
Robot.
Residui di un futuro remoto, velocemente divenuto passato prossimo. Colossi di una modernità arcaicizzante, di una magia non più attuale ma non ancora decaduta. Fantasmi cigolanti, abitanti inquieti di un ambiente di cui sono parte parassitante, escrescenze, deiezioni.
Robot: dal ceko robota, lavoro pesante.
Come il Golem di Rabbi Loew, come il giocatore di scacchi di Maelzel, come i robot universali di Rossum, come gli androidi di Asimov.

Un progetto visivo che esplora la persistenza di oggetti non ancora obsoleti nel paesaggio contemporaneo. Elementi familiari della nostra quotidianità, vestigia di un progresso remoto ancora pulsante.
Robot. Testimoni smisurati e giganteschi fantasmi di un’epoca vicina e lontana, in cui scienza e alchimia, esperimenti e incubi, popolano insieme l’immaginario e il paesaggio.

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